Storia di Sara Bianchi

Ho 33 anni, due anni e mezzo fa, a 31 anni appena compiuti, durante una generica visita di controllo dalla ginecologa dalla quale mi ero recata per il pap test, senza che io avessi il benché minimo sintomo, mi è stato diagnosticato un tumore ovarico.

Ricordo i ginecologi che mi guardavano con occhi agghiacciati, forse la diagnosi faceva più paura a loro che a me, uno addirittura ci ha messo 15 minuti per capire che stavamo parlando di me e non di mia madre, che mi stava accompagnando all'ennesimo consulto, carica di ecografia, tac ed esami del sangue.

A soli 31 anni e senza figli mi operarono in un primo momento in laparoscopia per capire bene quale fosse il mio problema, perché una grossa ciste (20 cm), occupava tutto il mio addome, e non si capiva bene neanche da dove fosse partita, e dopo una biopsia, mi prospettarono come unica soluzione (o meglio come unico tentativo) l'asportazione di entrambe le ovaie e dell'utero. Quel giorno il mondo mi cadde addosso, solo qualche giorno prima ero andata a vivere con il mio fidanzato e all'improvviso avevo davanti la prospettiva di non poter più avere figli, se fossi sopravvissuta, perché prima di ogni altra cosa c'era in ballo la mia stessa vita.

Pregavo e giuravo a me stessa che non avrei mai pianto, per non buttarmi in una spirale che mi avrebbe inghiottita. Cercavo di fare la vita di sempre, facevo progetti, pensavo alle vacanze, facevo shopping con mia sorella, continuavo ad andare a cena fuori e a ridere quando potevo.

Per fortuna un paio di medici "illuminati" e umili al punto di dirmi "noi non ci capiamo abbastanza di tutto ciò", riconoscendo i propri limiti, mi indirizzarono ad un centro specializzato nei trattamenti conservativi per le giovani donne.

Inserita il 23 novembre 2010

Timorosa e speranzosa partii da Prato per una prima visita a Monza, dove fui accolta con calore da medici giovani, competenti, precisi, scrupolosi e fortemente incoraggianti. Iniziarono a parlarmi di una forma tumorale chiamata "borderline", ovvero a bassa malignità, non è un tumore benigno, tutt'altro, ma un forma tumorale che forse mi avrebbe consentito di essere operata in con un metodo conservativo, e quindi di mantenere le ovaie, almeno una, anche se il tumore era bilaterale e molto esteso. Tornai a casa di buon umore e decisamente incoraggiata, parlai con altri medici ma ottenni le seguenti risposte: "il tumore borderline non esiste", "ti hanno detto così perché non ci hanno capito nulla, quello che hai, a quest'età, è quasi un mistero".

Di nuovo confusione. Facevo continuamente ricerche on-line per capire qualcosa di più di questa forma "borderline", ma non trovavo niente che mi desse davvero coraggio, niente di preciso, niente di sicuro, solo qualche accenno confuso. Nessuna vera testimonianza. Forse davvero non esisteva? Forse davvero era un mistero? Cercavo disperatamente qualcosa, per fare coraggio a me stessa e per farlo ai miei familiari, in pena come me.

Tutta questa confusione in merito a cosa avessi realmente riusciva solo a far risorgere in me l'angoscia, che mi invadeva ad ondate la mattina appena sveglia, nella mia casa nuova, quella che avevo sognato per anni, o abbracciando il mio fidanzato, che cercava in ogni modo di tenermi a galla, ma che, come me, era un po' in difficoltà. Passate un paio di settimane dalla prima visita ricevetti finalmente la chiamata dall'ospedale e potei partire per Monza, per tentare l'intervento conservativo. Partii speranzosa giurando a me stessa che se l'operazione fosse andata bene non mi sarei mai lamentata del dolore, della cicatrice, dei punti, di niente.

Dopo una settimana esatta uscii da quell'ospedale, che definirei splendido, nel giorno del compleanno del mio fidanzato, il 14 giugno, truccata bene, con una bella camicia colorata, in posizione "eretta", nonostante una cicatrice che partiva più in alto dell'ombelico e finiva 25 centimetri più in giù. Avevano tolto il mio tumore bilaterale, l'omento, il peritoneo, ed avevano conservato entrambe le mie ovaie e l'utero. Il tumore era al terzo stadio avanzato (IIIB), nonostante io non avessi sintomi, il mio ciclo fosse regolare, e la mia vita non avesse risentito in nessun modo di tutto ciò.

Sono stata fortunata, non ho dovuto subire la chemioterapia. Ricordo di aver aspettato con ansia i risultati delle biopsie che hanno confermato la forma "borderline", che esiste, esiste davvero, checché ne dicano alcuni, tanti, troppi medici. Esiste davvero, ed è stata la mia salvezza.

Certe volte penso con terrore a come starei se avessi accettato di farmi un intervento demolitivo, se Monza mi fosse sembrata troppo lontana, se la speranza non fosse stata abbastanza forte, se i miei cari non mi avessero convinta a tentare tutte le strade (perché io mi sono trovata al punto di pensare "fate di me qualunque cosa, purché proviate a salvarmi").

Successivamente mi sono sottoposta di nuovo ad una laparoscopia di controllo, sei mesi dopo l'intervento in laparotomia. La mia pancia è bucherellata un po' ovunque, conto 9 piccole cicatrici ed una molto grande, ma non le nascondo, neanche al mare, ne sono orgogliosa, e sono il mio vanto, il segno della mia lotta e della mia vittoria.

Le miei visite di controllo si sono svolte all'inizio con cadenza trimestrale, adesso siamo passati ad una visita ogni 6 mesi. Non nascondo la paura che ho ogni volta, perché il tumore borderline ha una grossa tendenza a recidivare, ormai penso che la paura ed il senso di vigile allerta non mi abbandoneranno mai, ma sono viva, mi sono sposata da un anno e posso sognare il mio domani e fare progetti. Mi stanno anche incoraggiando ad avere un figlio, cosa che vorrei con tutta me stessa, ancora non ci sono riuscita, ma sapere che ci posso provare è la mia gioia più grande.

E non faccio mistero con nessuno di quello che mi è successo, chiamo le cose con il loro nome, racconto la mia storia perché ci sia speranza e soprattutto informazione.

Di quel periodo ricordo con rabbia la mia difficoltà a reperire informazioni, a trovare qualcuna, anche solo virtualmente su internet, che avesse una storia simile alla mia, che potesse darmi qualche speranza per il futuro, per quello che avrei dovuto scegliere (un intervento demolitivo? Conservativo? Con quali rischi?). Di quel periodo ricordo soprattutto che ho avuto fortuna, perché ho incontrato i medici giusti al momento giusto. E penso a tutte quelle che forse non sono state altrettanto fortunate.

Per questo ritengo sia giusto parlare anche di questa forma di tumore "borderline".

Quando si guarisce a un tumore? Chissà, forse non si guarisce mai, credo che la paura latente, che scorre sempre dentro di me, non mi abbandonerà mai, la malattia mi farà un po' paura per sempre, ma forse mi ha resa vigile e mi permette di conoscere meglio il mio corpo. Mi permette di godere di più della mia vita.

Dirò una cosa che mi faceva arrabbiare quando la sentivo dire e non la capivo: io la ringrazio la mia malattia, perché ha reso la mia vita migliore, anche se non riuscirò mai a vivere senza pensieri, anche se forse non avrò mai il figlio che sogno, la mia vita ha dei colori più belli adesso, perché me la godo di più, perché amo con più forza, lotto con più accanimento, dimentico le cose brutte più velocemente. La vita è bella!

Inserita il 23 novembre 2010