Chemioresistenza: un problema irrisolto
Una delle principali cause del fallimento di un trattamento antitumorale è lo sviluppo di resistenza agli effetti dei farmaci da parte delle cellule. Su questo argomento molte pazienti affette da tumore ovarico si sono interrogate, alcune hanno addirittura avviato petizioni pubbliche con cui chiedono di “velocizzare l’iter per approvare e mettere a disposizione farmaci per la resistenza ai chemioterapici attualmente in uso”.
Ma questi farmaci non esistono ancora e chiedere ciò che non può essere dato illude con inutili speranze chi è malato. Non è facendo petizioni che si aiutano le pazienti. Occorre invece far capire loro l’origine e le ragioni di questa resistenza e informarle sui passi che la ricerca sta facendo per dare una risposta al problema.
Ecco perché è di grande interesse l’articolo che vi proponiamo e che è stato pubblicato sulla newsletter della Fondazione Mattioli lo scorso settembre a firma di Sergio Marchini, Head of Molecular Pharmacology Lab dell’Humanitas Research Hospital di Milano.
“Il problema della resistenza al trattamento farmacologico nel tumore ovarico è al centro dell’attenzione nel campo della ginecologia oncologica, nello specifico in relazione al ruolo dei sistemi di riparazione del DNA nei meccanismi di resistenza acquisita nei tumori ovarici. Per diverso tempo si è parlato del ruolo importante che i sistemi di riparazione del danno al DNA svolgono come “biomarcatori” predittivi della risposta ai farmaci, tipo platino o PARP inibitori. Non va però dimenticato che difetti nei sistemi di riparazione del DNA possono essere direttamente coinvolti nei meccanismi di resistenza acquisita ai farmaci.
Cosa è la resistenza acquisita?
La resistenza acquisita, sia alla singola molecola che a molecole strutturalmente diverse (in inglese: multi drug resistance), è uno dei principali problemi della chemioterapia antitumorale che ha da sempre limitato e ostacolato le potenzialità terapeutiche che, di volta in volta, venivano messe in campo. I tumori ovarici sono un esempio paradigmatico. Solo una minoranza di pazienti con tumore ovarico non mostra una risposta significativa alla chemioterapia di prima linea, mentre la maggior parte delle pazienti sviluppa nel corso del tempo recidive progressivamente resistenti al platino. Come mai?
Oggi si sa che dal punto di vista molecolare la resistenza acquisita trova le sue radici nella marcata instabilità genomica delle cellule tumorali e del micro-ambiente che le circonda. Verosimilmente la resistenza si sviluppa per un meccanismo di selezione naturale che i diversi farmaci hanno sulla eterogenea composizione del tessuto tumorale. Cellule con caratteristiche di resistenza sono già presenti in piccole percentuali nel tumore fin dalla diagnosi e quanto più tardi viene diagnosticato tanto più alta è la probabilità che le cellule con caratteristiche molecolari di resistenza siano già presenti. L’esposizione alla prima linea non fa acquisire il meccanismo di resistenza bensì, uccidendo tutte le cellule sensibili, favorisce la crescita e l’espansione di questi cloni resistenti che riformano il tumore con caratteristiche molecolari completamente diverse. In breve, la resistenza acquisita è un processo di selezione naturale innescato dalla esposizione stessa al farmaco, ed intrinsecamente legato alla instabilità ed eterogeneità dei tumori.
Cosa dice una recente revisione?
In un recente lavoro di revisione della letteratura viene preso in considerazione il contributo del sistema di riparazione del DNA alla resistenza. La risposta al danno del DNA è un meccanismo cellulare che protegge il DNA dalle lesioni e ne ripara i danni. Tuttavia, questo meccanismo può anche contribuire alla resistenza terapeutica nel cancro ovarico. Ad esempio, le cellule tumorali possono attivare la risposta al danno del DNA per riparare i danni causati dalla chemioterapia, rendendo le cellule tumorali meno sensibili al trattamento. Tuttavia, la ricerca ha anche dimostrato che l’inibizione della risposta al danno del DNA può aumentare l’efficacia della chemioterapia nel trattamento del cancro ovarico. I PARP inibitori sono citati come una classe di farmaci che sfrutta la cosiddetta “letalità sintetica”, dove l’inibizione simultanea di due diversi meccanismi di riparazione del DNA porta alla morte delle cellule tumorali. Tuttavia, la resistenza ai PARP inibitori può anche svilupparsi, spesso attraverso meccanismi come le mutazioni che ripristinano i geni BRCA1 e BRCA2 o la perdita di funzionalità del gene TP53BP1. L’articolo esamina anche altri approcci terapeutici, come l’inibizione dei geni ATR, CHK1 e WEE1, che codificano per proteine coinvolte nella risposta al danneggiamento del DNA e potrebbero essere bersagli promettenti per il trattamento del cancro ovarico resistente. Infine, l’articolo discute dei biomarcatori predittivi di risposta a questi trattamenti, come l’amplificazione di CCNE1 che potrebbe essere indicativa della risposta a combinazioni di inibitori di WEE1 e ATR.
Quali sono i futuri sviluppi?
In sintesi, la revisione esplora varie strategie terapeutiche per superare la resistenza alla chemioterapia basata su platino e ai PARP inibitori nel tumore ovarico, con un’enfasi sulla manipolazione della risposta al danneggiamento del DNA e l’identificazione di biomarcatori predittivi per migliorare l’efficacia dei trattamenti. La risposta al danno del DNA svolge un ruolo complesso nella resistenza terapeutica nei tumori ovarici, e la sua comprensione può portare allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per migliorare l’efficacia del trattamento”.