Cure dopo un cancro ginecologico: la ricerca IGCS

Quali cure dopo un cancro ginecologico: la ricerca IGCS

Oggi, in Italia si muore sempre meno di cancro: il 59,4 % degli uomini e il 65% delle donne è ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi. Sono i cosiddetti “sopravvissuti” termine con cui l’American Cancer Society definisce “chiunque abbia ricevuto una diagnosi di tumore, indipendentemente dalla fase della malattia” e che invece l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) identifica nei “pazienti ancora in vita dopo 3 o 5 anni dalla diagnosi o dalla fine del trattamento e che si trovano in una condizione di remissione completa di malattia”.

Quale che sia la definizione, il numero crescente di sopravvissuti al cancro ha portato in primo piano il follow up oncologico, cioè il periodo conclusivo delle cure, una fase che può durare molto a lungo e che è critica per chi sopravvive perché è proprio in questa fase che si affrontano i problemi fisici e psicologici a lungo termine indotti dalla malattia e che si eseguono gli esami di controllo utili per individuare eventuali recidive precoci.

E' quindi importante sapere se l’attuale gestione del follow up oncologico, che dovrebbe essere parte di un percorso di cura personalizzato, è una realtà che soddisfa i bisogni e le aspettative dei pazienti.

A questa domanda ha risposto una ricerca internazionale condotta da IGCS- Società Internazionale di Ginecologia Oncologica - cui hanno partecipato 407 donne di 34 nazioni per lo più abitanti in aree urbane o suburbane e per lo più pazienti con tumore ginecologico in remissione (71,8%) o in trattamento (28,1%).

Ecco la situazione.

La maggioranza delle pazienti (65,19%) ha dichiarato di non aver ricevuto un programma standard per il post cura. La minoranza ha ricevuto supporto individuale per problemi fisici (47%) e counseling psicologico (39,6%), supporto di gruppo (21,6%), consulenza sessuologica (11,5%).

Le pazienti hanno inoltre dichiarato di preferire il servizio post cura offerto dal centro ospedaliero (46,4%) o dalle associazioni pazienti (30,6%) o da gruppi di supporto (16,9%).

In merito al follow up oncologico, inteso come parte integrante del percorso di assistenza al paziente oncologico, l’89,5% delle pazienti è stata invitata a ritornare in ospedale per il controllo delle recidive e delle tossicità ma solo il 22% ha ricevuto piani post cura personalizzati.

In merito alla partecipazione a studi clinici sperimentali, il 54,5% delle donne intervistate ha dichiarato di non essere mai stata invitata a partecipare e solo il 28% ha dichiarato di essere stata informata in merito dal proprio medico. Si conferma quindi anche a livello internazionale il dato di non partecipazione agli studi clinici dell’81% che già era stato rilevato dallo studio osservazionale “In Acto” del 2019 e che fu condotto su 359 pazienti di 25 ospedali italiani di eccellenza. I numeri, quindi, riconfermano la problematicità dell’accesso agli studi sperimentali che, per molte pazienti, rappresentano spesso l’unica chance di sopravvivenza.

In conclusione, dalla ricerca emerge che le donne sopravvissute a un tumore ginecologico hanno molteplici bisogni di supporto ad ampio raggio.  Un discorso a parte meritano le pazienti più giovani per le quali è prioritario l’accesso a programmi di preservazione della fertilità precedenti il trattamento oncologico unitamente al supporto psicologico specifico.